DAT e legge sulle cure palliative: due leggi per uscire con stile
Mar 16, 2023Bartleby e Loki sono due angeli espulsi dal Paradiso, condannati a rimanere per l'eternità nel Wisconsin (da loro considerano peggio dell'Inferno).
Ad un certo punto i due scoprono che il cardinale Ignatius Glick, per festeggiare i cento anni di una chiesa nel New Jersey, concederà a chiunque entrerà in quella chiesa nel giorno della cerimonia una speciale indulgenza, grazie alla quale sarà redento da tutti i suoi peccati.
Bartleby e Loki escogitano così in un piano diabolico: sfruttare quell’evento per rientrare in paradiso. Peccato che tutto questo metterebbe in discussione l’intera esistenza di Dio - e quindi dell’umanità.
Così, per fermarli, si mette a lavoro un gruppo composto da Bethany, la protagonista, degli angeli, una musa e due aiutanti piuttosto particolari.
È tutto vano però se il gruppo non riesce a trovare Dio, che da qualche tempo è scomparso.
A Bethany viene in mente un avvenimento: qualche giorno prima, proprio vicino a quella chiesa, un barbone è stato ricoverato nell’ospedale più vicino perché aggredito e ridotto in fin di vita da un gruppo di adolescenti in rollerblade (che si scoprirà essere tre demoni).
L’ipotesi è che quel barbone sia proprio Dio, abituato di tanto in tanto a scendere sulla terra, prendere un corpo umano, e farsi delle lunghe passeggiate in incognito.
Bethany corre all’ospedale e capisce perché Dio non fosse ancora rientrato in Paradiso: era rimasto intrappolato nel corpo del barbone in stato di incoscienza, tenuto in vita da una macchina.
Locandina del fil Dogma, di Kevin Smith
Intrappolati
Quando si parla di fine vita - quando se ne parla? - non sappiamo che scelte compiere. In realtà non sappiamo neanche cosa ci aspetti e cosa possiamo fare oggi per evitare di vivere quelle situazioni che ci avvicinano pericolosamente al personaggio del Dio Barbone proposto da Kevin Smith in Dogma (il film di cui sopra).
La possibilità che gli altri scelgano per noi nel momento in cui noi non potremo più farlo a causa di una malattia non guaribile, o di un incidente, sono altissime: si stima che solo il 5% delle persone morirà di una morte improvvisa e inaspettata, che la metà della restante popolazione morirà di una morte medio-veloce in piena coscienza nel giro di 2-3 anni e che il 30-40% della popolazione morirà di una morte lenta causata da demenza in un lasso di tempo di circa 8-10 anni
Senza sbagliare di molto, possiamo affermare che abbiamo circa la metà della possibilità di terminare la nostra vita intrappolati (in un corpo che non risponde più ma di cui non possiamo disporre, in una medicina che spesso allunga la vita ma non elimina le malattie croniche che porta con sé).
Possiamo permetterci di azzardare un’ipotesi: questo finale non ci piacerà.
La cicala e la formica
Molti di noi conoscono bene la storia di questi due animali: uno intento a godersela, l’altro a garantirsi la sopravvivenza.
Ma l’inverno arriva per tutti e alla fine si scopre che chi ha lavorato duramente riuscirà a sopravvivere ai periodi più duri.
Mio padre diceva sempre: se vuoi vivere bene in inverno, devi lavorare in estate.
Il punto però non è essere formiche: il punto è che arriverà l’inverno e dobbiamo prepararci.
Due strumenti per affrontare il proprio inverno:
le DAT e la legge sulle cure palliative e la terapia del dolore
Se chiediamo alle persone di cosa hanno paura quando pensano alla propria morte, la maggior parte delle risposte girerà intorno al concetto di sofferenza fisica (dolore, soffrire fisicamente) e a quello di dignità (perdita di autonomia e incapacità di autodeterminarsi) - lasciando stare il grande dilemma di “cosa mi accadrà dopo la morte” e quindi la grande paura dell’ignoto.
In altre parole stiamo parlando di paure molto umane: quella di provare un dolore insopportabile - o di vederlo provare - e quella di perdere la capacità di prendersi cura di sé stessi.
Seppur non ci sia una soluzione universale e funzionante per tutti, la legge negli ultimi anni ha fatto passi da gigante nel creare strumenti che permettano alle persone di aiutarsi proprio nell’affrontare quelle situazioni - i propri inverni - nella maniera più funzionale possibile.
Il primo strumento, le DAT.
Le DAT (Disposizioni anticipate di trattamento), comunemente conosciute come legge sul testamento biologico, sono uno degli strumenti attraverso i quali possiamo esprimere le nostre volontà in tema di trattamenti sanitari.
La 219 del 22 Dicembre 2017 , sulle Norme in materia di consenso informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento, all’articolo 4, sancisce il diritto di scegliere quali trattamenti medici e sanitari accettare e quali no, qualora ci si trovasse in una condizione di incapacità di autodeterminarsi (comma1), ovvero incapaci, a causa di una malattia o un incidente, di esprimere il proprio consenso o dissenso alle cure proposte.
Stiamo parlando della possibilità di autodeterminarci e alleggerire, non solo per noi ma anche per chi ci sta intorno, il peso di scelte così importanti in un momento della nostra vita così delicato.
Passiamo già la maggior parte della nostra vita a chiederci come determinare il nostro futuro a partire dal presente (quale scuola? quale partner? quale macchina? quale lavoro? quale film? ...)
Stiamo parlando di aggiungerne un 'altra: quale fine se...?
Il secondo strumento, la legge 38/2010, ovvero cure palliative e terapia del dolore
La legge 38/2010 stabilisce il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore per ognuno di noi, con l’obiettivo di tutelare la nostra dignità in quanto persone, fino alla fine.
Sul sito di Vidas, fondazione che si occupa dagli anni ‘80 di accudire e sostenere i malati inguaribili e le loro famiglie, si legge: Le cure palliative sono l’insieme dei trattamenti rivolti ai malati inguaribili al fine di migliorare la loro qualità della vita, riducendo il livello di sofferenza e dolore. Diversamente dalle altre branche della medicina, la medicina palliativa non è finalizzata a combattere la malattia: la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) la definisce una disciplina che “cura anche quando non si può guarire”. In quest’ambito si inserisce anche la terapia del dolore, che è l’insieme di terapie farmacologiche finalizzate alla soppressione ed al controllo del dolore.
Si legge, ancora: la legge 38/2010 è fortemente innovativa nel panorama legislativo europeo, perché per la prima volta introduce forme di tutela e garanzie verso l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. È una vera e propria conquista di civiltà, perché finalmente assicura al malato e alla sua famiglia alcuni principi fondamentali:
- il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona malata;
- un’adeguata risposta al bisogno di salute;
- l’equità nell’accesso all’assistenza;
- la qualità delle cure e la loro appropriatezza alle specifiche esigenze individuali;
- un sostegno adeguato sanitario e socioassistenziale.
Il gioco dell'oca della vita
Quando tiri il dado nel gioco dell'oca sei consapevole che l'esito potrà essere positivo per il tuo progresso - quella casella è fortunata perché ti dà qualcosa (un premio, un vantaggio sugli altri, un avanzamento di caselle...), oppure negativo perché ti toglie qualcosa che hai conquistato (torna indietro alla casella di partenza).
Per fortuna non si perde davvero nulla: alla fine anche i più competitivi avranno passato dei bei momenti in compagnia. Al massimo ci si potrà dire: la prossima volta andrà meglio.
Nel gioco della vita questo è un po' diverso: se siamo alla fine non possiamo tornare indietro. Non potremo dire andrà meglio la prossima volta (almeno per la maggior parte delle conoscenze che abbiamo ora).
Quindi la cosa migliore è evitare di lasciare il nostro percorso nelle mani del dado e cercare di aumentare le possibilità di raggiungere, senza troppe perdite (di diritti), la casella "arrivo".
3 storie, 3 scelte (+1) per sconfiggere i dadi. Ovvero, la potenza delle scelte sulla propria fine.
1. “Sofia nel cuore”
L’angiosarcoma cardiaco è un raro tumore del cuore che colpisce 2-3 persone su milioni di abitanti. Una di queste persone è lei, Sofia Sacchitelli, che al momento in cui scrivo ha 23 anni. Nel 2021 riceve la diagnosi di angiosarcoma cardiaco di cui si conosce poco, data la sua rarità. All’inizio il tumore risponde bene alle cure ma poi ritorna a crescere e ad espandersi. Sofia nel cuore è un’associazione che nasce a seguito della decisione di Sofia di reagire e decidere a cosa dedicare la sua vita, fino alla fine.
“Il mio sogno sarebbe che nessuno mai più ricevesse una sentenza di morte come è capitato a me e a tutte le persone che hanno lottato contro la stessa malattia. Quello che ho deciso di realizzare è una raccolta fondi in cui verserò tutti i miei risparmi guadagnati da studentessa lavoratrice (...) la raccolta sarà finalizzata a studi di ricerca sugli angiosarcomi realizzati dall’Italian Sarcoma Group per permettere una cura e una qualità di vita migliori nei pazienti affetti da questa patologia”
“Non lo faccio per me — dice —. Tra un po’ morirò. È per aiutare i malati del futuro”.
Logo dell’associazione Sofia nel cuore
*Sofia è morta il 21 marzo 2023. Se vuoi supportare la sua causa puoi farlo con una donazione a: ASSOCIAZIONE: “SOFIA NEL CUORE”IBAN: IT56 M030 6909 6061 0000 0194 003
2. Uscire con stile
Sandie Wood era malata di tumore. Prima di morire, all’età di 65 anni, ha deciso e comunicato di voler uscire con stile - con tanto di scritta sulla sua bara.
Ha chiesto alla sua amica di danza di organizzare un flash mob durante la celebrazione del suo funerale sulle note di Another One Bites Dust.
Intervistata, la sua amica Sam Ryalls ha dichiarato: “Voleva che tutti ricordassero il suo funerale, ma non per motivi tristi. Ha lasciato il mondo mentre lo viveva e quello era essere se stessa.”
Il flash mob al funerale di Sam Ryals
3. Scegliere è un diritto che va esercitato quando si è capaci
“Amo e rispetto i miei ragazzi e non vorrei mai che siano straziati dal dubbio su cosa fare della mia vita. Ho preferito optare per la libertà di scelta, che però è un diritto che va esercitato non in situazioni di difficoltà e bisogno. Occorre essere lucidi, per decidere cosa fare del proprio corpo nelle ultime fasi, in cui è la paura a farla da padrone”.
Questo dice Anna Rita Calcagni, di Rieti, una delle prime italiane che ha deciso di redarre le sue DAT.
Il motivo non risiede in una situazione medica complessa con possibile prognosi infausta ma in una delle esperienze che ha vissuto direttamente.
Nell’intervista che si può leggere sul sito della Fondazione Umberto Veronesi, dice ancora: Sono da sempre contraria all'accanimento terapeutico, ma sei anni fa ho perso la mia più cara amica per un cancro, al termine di un calvario»
Rita Calcagni - foto tratta dal sito della fondazione veronesi
+1: "Posso dedicarmi a vivere, perché al fine vita ci ho già pensato" Intervista a Cristina Bianchi.
Cristina è una mia amica. Da quando ho iniziato il progetto After, per motivi che di solito vengono imputati al destino, lei c'è. Un giorno mi dice che a seguito di una diretta sul nostro canale youtube (che trovi qui), ha deciso di redarre le sue DAT. In questo articolo, proprio nel titolo, trovi l'audio dell'intervista voluta con il desiderio, da parte di entrambe, di aiutarti. Perché se stai pensando di fare la stessa scelta, e occuparti della tua casella di arrivo, puoi trovare utile sapere cosa fare, quali sono le difficoltà, e che non sei sol*.
*se hai anche tu una storia sul fine vita, o meglio, sulla vita fino alla fine, scrivici. Saremo felici di ascoltarla e, se hai piacere, di condividerla per aiutare più persone possibili a non sentirsi sole.
After nasce per non lasciarti sol* nei momenti in cui il dolore, legato alla morte di una persona significativa nella tua vita o una malattia non guaribile, si fa imponente e non sai come affrontarlo. Se ti serve sostegno noi ci siamo.